Sei la benvenuta o il benvenuto in questo mio spazio. Sentiti a tuo agio, come un ospite più che gradito. Se lo desideri, questo spazio è anche tuo

Categoria: Home page Pagina 1 di 2

Il presepe del Perruchon

Il villaggio di Perruchon nel comune di Champorcher, in Valle d’Aosta, in occasione del Natale, si arricchisce di sculture lignee che rappresentano un presepe speciale.

In questo audio/video emozionale ho cercato di narrare e catturare le idee, la creatività e la magia di quanto si può ammirare lungo le stradine di questa incantevole frazione di montagna.

Business Anthropology: il cambiamento che viene da lontano

Pubblicato il 25 maggio 2023 su risorseumane-hr.it
La Business Anthropology offre una prospettiva unica sull’interazione tra cultura e produttività aziendale. Mentre in Italia è ancora marginale, nel mondo anglosassone e nel Nord Europa è un approccio diffuso. E’ tempo di abbracciare questa disciplina che, unita alla psicologia, offre nuove e ampie dimensioni per il successo delle nostre imprese.

Leggi il mio articolo pubblicato qui:

La persone al centro: ma è davvero questa la chiave?

Pubblicato il 9 maggio 2023 su risorseumane-hr.it

“La persona al centro”
Credo che ciascuno di noi, da qualsiasi prospettiva di business guardi, ha sentito fino allo sfinimento questa frase, uno slogan sbandierato e spesso vuoto, una direzione annunciata e spesso non intrapresa.
Ma davvero questa “persona” che tutti vogliono mettere al centro è felice di esserlo, ammesso e non concesso che l’intenzione ostentata sia poi agita? 

Leggi il mio articolo pubblicato qui:

L’innovazione nella storia delle Assicurazioni

In occasione delle Mostre itineranti, in Italia e in Europa, della Fondazione Mansutti, istituzione unica nel suo genere, che valorizza il patrimonio storico delle Assicurazioni, sono state realizzate delle guide in modalità mediatica particolare, un mix di audio scritto e narrato, suoni, musiche e immagini originali.

La Fondazione deve molto al suo fondatore, l’appassionato collezionista Francesco Mansutti, il cuore entusiasta di tutto il lavoro di raccolta internazionale che dura da decine di anni.

Al momento la Mostra è a Genova, sebbene, a causa dell’emergenza in atto, non sia visitabile.

Le audio/video guide permettono di entrare nell’atmosfera storica dell’argomento trattato e di comprenderne i significati, nonchè rendere piacevole e più interattiva la visita.

Eccone un esempio:

Premio letterario

Mi è stato conferito il terzo premio alla quinta edizione del Concorso Letterario Albatium 2018 – Albiate (MB), nella sezione “prosa libera”. L’opera premiata è un racconto dal titolo “Un biglietto per il futuro”.

A volte facciamo tutto per bene

A volte facciamo tutto per bene, ascoltiamo noi stessi e crediamo di aver indirizzato al meglio i nostri passi, pensiamo di aver colto nel modo migliore che sappiamo le opportunità intorno a noi, riteniamo di aver seminato con cura i germogli del nostro futuro, eppure lo stesso non otteniamo nulla. Non ci sono risultati, ci sembra che il contesto sia immobile ed indifferente, che i nostri sforzi siano vani. E non sappiamo capirne il perché.

Accanendosi non ricaviamo nulla di più, potremmo anzi peggiorare le cose. Ci sembra di essere impotenti.

Credo che tutto ciò sia capitato ad ognuno di noi, e magari capita proprio in questo momento della nostra vita. I flussi del vento e delle occasioni seguono la loro corrente e ci sembra di esserne esclusi.

Ovviamente ognuno di noi sbaglia, è naturale e salutare errare, eppure non riusciamo ad afferrare i nostri errori. Forse perché non ci sono sostanzialmente errori. Forse perché quello che cerchiamo di fare al momento non ha una prospettiva né uno spazio, è semplicemente così.

E alla fine questa autonomia del flusso rispetto alla nostra volontà ci rende liberi. Sì, liberi, perché ci permette di essere realmente chi siamo e di seguire davvero il nostro essere, visto che sembra che poco di quel che facciamo influisca sul futuro immediato. Forse è controintuitivo, ma pensate a quanta libertà ci offre. Se tanto non cambia nulla nel fare una cosa o l’altra, perché mai non fare ciò che ci piace e dedicarci al nostro essere in piena libertà?

Lasciar andare la presa, lasciarsi aperti al futuro senza piegarsi all’ossessione del risultato, sono straordinarie armi di felicità e ci riserveranno certamente sorprese, probabilmente molto più adatte a noi stessi rispetto a ciò che ostinatamente stavamo cercando.

 

Propongo questo breve brano, tratto da un vecchio cartone animato di ispirazione biblica, “Giuseppe”. Poeticamente, esprime una riflessione simile alla nostra.

Imparare a ridurre la complessità utilizzando la rappresentazione a grafo

Le informazioni che ci circondano sono troppe e afferrarle ci richiede energie e sforzi, che ci distolgono da ciò che è veramente essenziale. In primo luogo, quindi, è bene ridurre la complessità, utilizzando una rappresentazione matematica, quella dei grafi, e avvalendosi del parallelismo con il modo di funzionare e di correlare della mente umana. Oltre a semplificare la nostra visione del mondo, è possibile creare nuove aggregazioni fra i dati e le potenzialità che ci circondano. Un percorso di esplorazione, comprensione e rappresentazione, utile a semplificarci la vita, costruendo il nostro grafo personalizzato.

Uno sguardo sul mio Metodo dell’Essenzialità.

 

Ecco un estratto:

Credo sia ormai un cliché consolidato quello dell’omino schiacciato dalla mole di dati, potenzialità e opportunità che il nostro attuale mondo propina. A volte l’omino è rappresentato con un troneggiante e gigantesco punto interrogativo; a volte immerso in migliaia di numeri e formule incomprensibili; a volte in fuga; a volte estasiato di fronte allo spettacolo del caos, ma bloccato dal non sapere cosa farsene. Si tratta di vignette simpatiche quanto inquietanti e soprattutto rispecchianti con ironia una realtà che tutti abbiamo toccato con mano. È una sensazione molto comune, a livello sia personale sia organizzativo.

Rassicurarci di non essere soli è un piccolo sollievo, ma non aiuta concretamente. Sentiamo il bisogno di tornare all’essenziale. Ma che cosa significa veramente? Possiamo permetterci di perdere ciò che di prezioso ci offre questo mondo, in virtù del fatto che ci fa sentire smarriti e disorientati?

Abbiamo compreso che la vastità delle informazioni e delle potenzialità non è stata portatrice di benessere né di crescita, almeno non nella misura in cui ci era stata fatta presagire. Il mondo non è diventato un paradiso di opportunità. Non conta il volume degli stimoli, infatti, ma conta avere del materiale su cui lavorare e su cui concentrarci, per il nostro futuro.

Di stimoli siamo davvero pieni: internet e i media in generale ci bombardano di immagini, video, parole, suoni e contenuti multimediali, le persone intorno a noi sono esse stesse fonte di sollecitazioni. L’evoluzione non ci ha modellati per gestire tutto questo. Dall’altra parte, però, le opportunità di conoscenza e realizzazione sono elevate e intuiamo che non dovremmo perderci la possibilità di sfruttarle.

Quando il dilemma è posto in questi termini ci appare di difficile soluzione. In realtà io credo, invece, che una soluzione ci sia e che, tutto sommato, non si tratti di un dilemma, ma di una prospettiva distonica: la teoria dei grafi può venire in aiuto.

Descrivere il nostro mondo con la rappresentazione a grafo

La rappresentazione a grafo non è certo recente. Fu applicata per la prima volta nel 1736 a opera di Eulero. Oggi è ampiamente riscoperta per via dei social network e, in generale, delle reti di dati. La semplicità e la potenzialità di tale sistema di rappresentazione sono allettanti, soprattutto se ci soffermiamo sulla base teorica, senza ambire ad applicarvi le formule matematiche di calcolo, almeno non in prima battuta. La teoria dei grafi è una teoria matematica da cui si può estrarre con relativa facilità un utile approccio.

Il nostro cervello è molto complesso, ma anche molto semplice nel suo funzionamento concettuale: i neuroni sono assimilabili ai nodi, ovvero gli elementi che costituiscono il grafo, mentre le sinapsi svolgono la funzione degli archi, le linee di collegamento fra i nodi. I ricordi, le idee, le percezioni, le interpretazioni, le emozioni, i pensieri, sono tutti pattern, cioè quadri e percorsi di aggregazione tra neuroni.

(…)

Ridurre la complessità

Occorre comprendere ciò che è importante per noi, rilevante, realmente significativo: in una parola, ciò che è essenziale. È questo il concetto su cui è modellato il Metodo dell’Essenzialità. Se riusciamo a distinguere ciò che è essenziale, al di là delle fonti da cui le caratteristiche derivano e al di là delle forme e delle strutture con cui giungono a noi, possiamo ridurre la complessità del mondo, senza perdere alcunché, semplicemente trasformando quelle caratteristiche varie e sparse in proprietà delle essenzialità. Nel linguaggio della teoria dei grafi, dobbiamo trovare le nostre entità, vederne le relazioni e convogliare le proprietà sui nodi e sugli archi. Come possiamo riuscirci?

(…)

 

Autore: Paolo Speranza

Pubblicato sul numero 123 Agosto-Settembre 2017 di “Persone & Conoscenze”, Este ed.

Trovi il sommario del numero a questo link: 

https://www.este.it/images/riviste/Sommari/Sommari_PeC/P&C_123_Sommario.pdf

Per leggere l’articolo completo acquista la versione .pdf scrivendo a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434419), oppure acquista la copia singola numero Persone & Conoscenze n.123 Agosto-Settembre 2017 su https://www.este.it/abbonamenti/copia-singola-numero-arretrato-persone-conoscenze-2.html.

Non dobbiamo temere il cambiamento, è la strada per lo sviluppo organizzativo

Il cambiamento fa parte della nostra esistenza: è parte di noi e per questo non dobbiamo temerlo. Affrontiamolo con le nostre caratteristiche, modalità e potenzialità, calandolo nel nostro contesto. La resistenza al cambiamento è un ottimo antidoto per non farsi distrarre dal caos: rispettiamolo senza farci ostacolare. Lasciamoci ispirare da modelli e schemi, ma ricordiamoci che è il nostro piano di sviluppo a guidarci al meglio.

 

Ecco un estratto:

“L’azienda deve adeguarsi alle richieste del mercato”; “Bisogna adattare la nostra organizzazione al business”; “I nostri prodotti non sono più in linea con le richieste dei clienti”; “Dobbiamo essere più produttivi e impegnarci di più”; “Dobbiamo andare d’accordo e lavorare bene insieme”; “Bisogna modificare il modo di lavorare del gruppo”. Ognuno di noi potrebbe scrivere centinaia di queste frasi. Vere, verissime, ineccepibili. Tutte rivolte al cambiamento, non c’è dubbio, anche se non esplicitamente. Tutte parlano di uno sviluppo, a titolo personale e organizzativo.

Bruno Bara nel 2009 ha scritto: “Si può capire tutto, ma cambiare nulla”. Usando una metafora olimpica possiamo disporci sulla linea di partenza al grido agognato di “adesso si cambia”, convinti –a livello superficiale– di poter scattare e correre verso una meta idealizzata nel momento in cui lo starter darà il via. Eppure molto raramente questo accade, almeno con le modalità che riteniamo di dover attenderci.

Perché tutto ciò? Siamo delle persone deboli e incapaci? Le nostre organizzazioni sono mal strutturate? I collaboratori sono maligni e inconcludenti? Oppure tutto avviene al di fuori di noi e non ne abbiamo colpa, né abbiamo potere di intervenire? Facciamo un passo indietro. Ognuno di noi è prezioso e unico nel suo modo di essere. E questo vale per la persona come per l’organizzazione. Il valore e l’unicità di ognuno di noi non dipende da quanto riusciamo a realizzare e a esprimere, ma dalla nostra essenza. L’essenza, in effetti, è l’unica cosa che non cambia. Tutto il resto sì: la nostra biologia, il contesto in cui viviamo, le persone che incontriamo, ciò che facciamo e il modo in cui lo facciamo. Il cambiamento è una componente fondamentale e imprescindibile della nostra esistenza.

Abbiamo però bisogno di schemi e modelli per muoverci, altrimenti ci sentiremmo dispersi nel caos. Evolutivamente per questo abbiamo sviluppato la resistenza al cambiamento, un ottimo antidoto per continuare a operare secondo percorsi risultati efficaci, senza farsi distrarre dalle migliaia di stimoli che giungono ogni giorno alla nostra mente.

(…)

 

Autore: Paolo Speranza

Pubblicato sul numero 114 Agosto 2016 di “Persone & Conoscenze”, Este ed.

Trovi il sommario del numero a questo link: https://www.este.it/images/riviste/Sommari/Sommari_PeC/P&C_114_Sommario.pdf

Per leggere l’articolo completo acquista la versione .pdf scrivendo a daniela.bobbiese@este.it (tel. 02.91434419), oppure acquista la copia singola numero arretrato Persone & Conoscenze n.114 Agosto 2016 su https://www.este.it/abbonamenti/copia-singola-numero-arretrato-persone-conoscenze-2.html.

A chi serve parlare di team building (2)?

Alle prime battute di una due-giorni di Team Building uno degli esercizi-gioco consiste nell’assumere la prospettiva altrui, in pratica nel mettersi dei panni dell’altro, che non sappiamo fisicamente chi sia tra i partecipanti. E’ un esercizio apparentemente semplice, in realtà per nulla, ed efficace per aprire la nostra mente alla consapevolezza. Ciò che emerge a volte è sorprendente.

Durante una recente due-giorni di corso, condividemmo l’esercizio-gioco al termine del quale, oltre ad un po’ di divertimento, calò un certo silenzio.

Su invito ad esprimersi, un membro del gruppo, Marta, disse di essere rimasta turbata dal fatto di scoprire gli altri avere problemi simili ai suoi, sebbene con sfumature e soggettività ovviamente diverse. Proprio questa similitudine le aveva facilitato il compito di assumere la prospettiva di una sconosciuta o uno sconosciuto.

“E’ vero che siamo diversi, ma non lo siamo poi così tanto. Tendiamo sempre a difenderci, pensando che gli altri siano migliori o non abbiano le nostre difficoltà, oppure tendiamo a pensare che gli altri siano più freddi e tutto per loro sia più facile che per noi. Beh, ho capito che non è così”.

Giovanni, un altro membro del gruppo, disse: “Sì, è vero. Tutto sommato, siamo in grado di assumere la prospettiva degli altri. Non è impossibile”.

Altre voci si unirono al piccolo coro: “Capire che noi siamo gli altri per gli altri è banale, forse, ma illuminante”. “Sì, qualsiasi gruppo di persone, di qualsiasi natura sia il gruppo, dovrebbe pensarci e tenerne conto”.

Marta riprese la sua riflessione: “E’ sconvolgente per me scoprire che gli altri mi vedono in modo diverso da come io penso di essere vista, di riconoscermi tratti e attitudini che io non attribuisco a me stessa. Cavoli, mi rendo conto di quanto allora possa essere inefficace la comunicazione tra noi. Gli altri parlano ad una persona che io non mi riconosco essere…Dai, questa cosa è sconvolgente!”

Le rispose Giovanni: “Credo che tutti noi qui fossimo convinti che tu sapessi come noi ti vediamo”

Un altro membro del gruppo, Marco: “Beh, adesso lo sappiamo, sarà sicuramente più facile capirsi”.

Si era aperta una breccia davvero importante. Il percorso per ognuno di noi si delineava davvero interessante, nelle poche giornate insieme, ma soprattutto nelle tante giornate personali della nostra vita.

A chi serve, quindi, parlare di Team Building? Nessuno meglio di ognuno di noi può rispondere a questa domanda.

Chi ha bisogno di cosa?

Era il 1954 quando Abraham Maslow concepì il concetto di Gerarchia dei Bisogni. Questo psicologo statunitense, scomparso nel 1970, è uno dei più citati psicologici della storia, proprio a causa di questa sua teoria che ha avuto così tanta eco.

Maslow, nel suo volume Motivazione e personalità,  teorizzò che esiste una scala dei bisogni degli esseri umani. Ogni gradino di questa scala è propedeutico al successivo e non è possibile raggiungere un livello superiore senza aver prima soddisfatto i bisogni del livello più basso.

Si tratta di una teoria che ha ormai oltre 60 anni e che è stata rivisitata in molti modi, sviluppata secondo diverse chiavi di lettura, modernizzata da diversi autorevoli studiosi. Però, nella sua “semplicità” ed essenza, ci fa capire moltissimo del nostro mondo. Ed è innovativa, anche nella sua vetustà apparente.

Sentiamo spesso dire, ad esempio, che “si era più felici quando si stava peggio”. Al netto dei risvolti nostalgici e delle peculiarità della nostra memoria, con i suoi meccanismi di disattenzione selettiva, io credo che la scala di Maslow risponda brillantemente a questa affermazione.

Quando i nostri bisogni sono quelli della sopravvivenza o della sicurezza (i primi due gradini della scala), la loro soddisfazione ci fa sentire felici. In quella condizione ci sembra impossibile, per una persona che non debba preoccuparsi più delle esigenze fondamentali, non sentire benessere. D’altro canto, soddisfatti quei bisogni, ne sorgono altri, di livello secondario, come una continua spinta a realizzarci pienamente, ad accettarci così come siamo, ad essere capaci di vivere esperienze profonde e rapporti umani positivi, a sentire di essere diventati ciò che siamo in grado di diventare.

E’ comprensibile che ci sentiamo appagati quando riusciamo a soddisfare le nostre esigenze del momento e riusciamo ad intravedere quel gradino successivo che potrebbe attenderci. Ed è quindi inutile rammaricarci ed inveire verso chi “ha di più di noi” e non è felice lo stesso.

Quale significato può avere, dunque, parlare di successo e autostima (che fanno parte del quarto gradino della scala) a chi non ha nemmeno una casa (secondo gradino) o a chi non ha sempre da mangiare (primo gradino)? Non c’è da stupirsi se in questi casi non ci si capisce affatto. E non c’è da stupirsi nemmeno quando la proposta di un modello sociale, visto da un gradino troppo alto, ad un’altra realtà sociale che lotta per bisogni di livello diverso, possa portare a conflitti più o meno importanti. Un esempio? L’esportazione del nostro modello culturale, fatto di edonismo ed eudemonismo, tecnologie avanzate, carriere lavorative, politica, verso società che lottano tuttora contro la fame e le malattie. Pensiamo davvero che possa essere efficace e funzionale? Pensiamo davvero che siano gli “altri” ad essere ingrati nei nostri confronti?

Per ognuno di noi, mi sento di proporre una piccola cosa: quando guardiamo agli altri, siamo consapevoli di essere diversi, anche se non sappiamo quanto e come, di avere bisogni diversi e sicuramente percezioni diverse.

Si tratta solo di un piccolo passo, eppure la sua portata è inimmaginabile. Cosa ne pensate?

Pagina 1 di 2

Powered by WordPress & Tema di Anders Norén