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L’innovazione nella storia delle Assicurazioni

In occasione delle Mostre itineranti, in Italia e in Europa, della Fondazione Mansutti, istituzione unica nel suo genere, che valorizza il patrimonio storico delle Assicurazioni, sono state realizzate delle guide in modalità mediatica particolare, un mix di audio scritto e narrato, suoni, musiche e immagini originali.

La Fondazione deve molto al suo fondatore, l’appassionato collezionista Francesco Mansutti, il cuore entusiasta di tutto il lavoro di raccolta internazionale che dura da decine di anni.

Al momento la Mostra è a Genova, sebbene, a causa dell’emergenza in atto, non sia visitabile.

Le audio/video guide permettono di entrare nell’atmosfera storica dell’argomento trattato e di comprenderne i significati, nonchè rendere piacevole e più interattiva la visita.

Eccone un esempio:

Facciamo qualcosa di nuovo

Non c’è bisogno di fare qualcosa di eclatante. Ci basta vivere quello che facciamo già di consueto con un tocco di originalità.

Provate un piccolo esperimento.

Immagino che prendiate sempre un treno o un bus, o vi dirigiate in auto sempre nello stesso posto, magari per andare al lavoro, che facciate sempre lo stesso tragitto, con le stesse modalità.

Anziché vivere con la consuetudine dell’abitudine, con un pilota automatico sempre inserito, provate a variare qualcosa, anche solo una piccola cosa. Magari scendete ad una fermata diversa, facendo un tragitto inedito, oppure cambiate leggermente strada in auto o a piedi. Prendetevi 5 minuti in più, cercando di essere ben presenti a voi stessi, al tempo ed allo spazio che vi circonda, a ciò che vedete, sentite o odorate. Vi accorgerete di esserci, di ciò che non avete mai visto o a cui non avete mai fatto caso, e di molto altro di personale che scoprirete voi stessi.

Provate. Poi non dimenticate ciò che provate, al contrario, assaporatelo liberamente, con consapevolezza.

Accettare di re-incontrare noi stessi è come una boccata d’ossigeno nuovo nei nostri polmoni.

A volte facciamo tutto per bene

A volte facciamo tutto per bene, ascoltiamo noi stessi e crediamo di aver indirizzato al meglio i nostri passi, pensiamo di aver colto nel modo migliore che sappiamo le opportunità intorno a noi, riteniamo di aver seminato con cura i germogli del nostro futuro, eppure lo stesso non otteniamo nulla. Non ci sono risultati, ci sembra che il contesto sia immobile ed indifferente, che i nostri sforzi siano vani. E non sappiamo capirne il perché.

Accanendosi non ricaviamo nulla di più, potremmo anzi peggiorare le cose. Ci sembra di essere impotenti.

Credo che tutto ciò sia capitato ad ognuno di noi, e magari capita proprio in questo momento della nostra vita. I flussi del vento e delle occasioni seguono la loro corrente e ci sembra di esserne esclusi.

Ovviamente ognuno di noi sbaglia, è naturale e salutare errare, eppure non riusciamo ad afferrare i nostri errori. Forse perché non ci sono sostanzialmente errori. Forse perché quello che cerchiamo di fare al momento non ha una prospettiva né uno spazio, è semplicemente così.

E alla fine questa autonomia del flusso rispetto alla nostra volontà ci rende liberi. Sì, liberi, perché ci permette di essere realmente chi siamo e di seguire davvero il nostro essere, visto che sembra che poco di quel che facciamo influisca sul futuro immediato. Forse è controintuitivo, ma pensate a quanta libertà ci offre. Se tanto non cambia nulla nel fare una cosa o l’altra, perché mai non fare ciò che ci piace e dedicarci al nostro essere in piena libertà?

Lasciar andare la presa, lasciarsi aperti al futuro senza piegarsi all’ossessione del risultato, sono straordinarie armi di felicità e ci riserveranno certamente sorprese, probabilmente molto più adatte a noi stessi rispetto a ciò che ostinatamente stavamo cercando.

 

Propongo questo breve brano, tratto da un vecchio cartone animato di ispirazione biblica, “Giuseppe”. Poeticamente, esprime una riflessione simile alla nostra.

Un augurio di Buon Natale

Tanti auguri a tutti con questa mia piccola animazione:

Una piccola storia di frustrazione

Una piccola animazione da me realizzata sulla tematica della frustrazione.

 

 

Chi ha bisogno di cosa?

Era il 1954 quando Abraham Maslow concepì il concetto di Gerarchia dei Bisogni. Questo psicologo statunitense, scomparso nel 1970, è uno dei più citati psicologici della storia, proprio a causa di questa sua teoria che ha avuto così tanta eco.

Maslow, nel suo volume Motivazione e personalità,  teorizzò che esiste una scala dei bisogni degli esseri umani. Ogni gradino di questa scala è propedeutico al successivo e non è possibile raggiungere un livello superiore senza aver prima soddisfatto i bisogni del livello più basso.

Si tratta di una teoria che ha ormai oltre 60 anni e che è stata rivisitata in molti modi, sviluppata secondo diverse chiavi di lettura, modernizzata da diversi autorevoli studiosi. Però, nella sua “semplicità” ed essenza, ci fa capire moltissimo del nostro mondo. Ed è innovativa, anche nella sua vetustà apparente.

Sentiamo spesso dire, ad esempio, che “si era più felici quando si stava peggio”. Al netto dei risvolti nostalgici e delle peculiarità della nostra memoria, con i suoi meccanismi di disattenzione selettiva, io credo che la scala di Maslow risponda brillantemente a questa affermazione.

Quando i nostri bisogni sono quelli della sopravvivenza o della sicurezza (i primi due gradini della scala), la loro soddisfazione ci fa sentire felici. In quella condizione ci sembra impossibile, per una persona che non debba preoccuparsi più delle esigenze fondamentali, non sentire benessere. D’altro canto, soddisfatti quei bisogni, ne sorgono altri, di livello secondario, come una continua spinta a realizzarci pienamente, ad accettarci così come siamo, ad essere capaci di vivere esperienze profonde e rapporti umani positivi, a sentire di essere diventati ciò che siamo in grado di diventare.

E’ comprensibile che ci sentiamo appagati quando riusciamo a soddisfare le nostre esigenze del momento e riusciamo ad intravedere quel gradino successivo che potrebbe attenderci. Ed è quindi inutile rammaricarci ed inveire verso chi “ha di più di noi” e non è felice lo stesso.

Quale significato può avere, dunque, parlare di successo e autostima (che fanno parte del quarto gradino della scala) a chi non ha nemmeno una casa (secondo gradino) o a chi non ha sempre da mangiare (primo gradino)? Non c’è da stupirsi se in questi casi non ci si capisce affatto. E non c’è da stupirsi nemmeno quando la proposta di un modello sociale, visto da un gradino troppo alto, ad un’altra realtà sociale che lotta per bisogni di livello diverso, possa portare a conflitti più o meno importanti. Un esempio? L’esportazione del nostro modello culturale, fatto di edonismo ed eudemonismo, tecnologie avanzate, carriere lavorative, politica, verso società che lottano tuttora contro la fame e le malattie. Pensiamo davvero che possa essere efficace e funzionale? Pensiamo davvero che siano gli “altri” ad essere ingrati nei nostri confronti?

Per ognuno di noi, mi sento di proporre una piccola cosa: quando guardiamo agli altri, siamo consapevoli di essere diversi, anche se non sappiamo quanto e come, di avere bisogni diversi e sicuramente percezioni diverse.

Si tratta solo di un piccolo passo, eppure la sua portata è inimmaginabile. Cosa ne pensate?

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