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A chi serve parlare di team building (1)?

Durante un corso di team building, un partecipante, all’apertura della giornata formativa, disse: “Io sono qui perché mi hanno detto di venirci, ma questo corso andrebbe seguito dai nostri manager, non da noi, e da me in particolare”.

Il formatore sorrise e non rispose subito. Osservò il gruppo di persone che erano riunite in quella stanza. Poi disse: “Oggi noi siamo un gruppo e siamo tutti uguali qui, in questo momento, al di là dello status, del ruolo e delle mansioni che ricopriamo nell’organizzazione”.

Poi proiettò una citazione.

“La teoria generale dei sistemi ci spiega che qualsiasi cambiamento in un oggetto del sistema è interdipendente ad ogni parte del sistema stesso. Ogni parte, per quanto piccola, ha il potere di influire sul comportamento dell’insieme” (Teoria generale dei sistemi. Fondamenti, sviluppo, applicazioni)

Il partecipante non intervenne. Forse era vero, che non avrebbe voluto essere lì, ma la sua presa di posizione era soltanto la punta dell’iceberg, al di sotto si muoveva un mondo di interessi, valori e bisogni, che avevano plasmato la superficie.

C’è qualcosa di affascinante ed importante per il nostro futuro nell’indagare e comprendere quella parte meno visibile del nostro comportamento. E qualsiasi spunto di riflessione vogliamo far emergere dentro di noi e dentro il nostro gruppo di appartenenza, che sia la rete di comunicazione, la diversità, la coesione, la motivazione, la cultura di gruppo, sappiamo che sarà in grado di innovare, anche fosse solo un piccolo passo, anche fosse solo un lumicino nel buio. E l’effetto non è mai insignificante.

C’è un corso specifico nel mio Catalogo Personale che affronta tale argomento. Scrivimi se può interessarti.

Il conflitto, comprenderlo per gestirlo ed innovarsi

C’erano una volta numerose pellicole di fantascienza che ci dilettavano con l’immagine di un futuro in cui i conflitti (e le ingiustizie) non esistono più e la pace regna sovrana, in virtù dell’uso esclusivo della razionalità, a scapito dell’emotività. Salvo poi assistere sistematicamente al tracollo dello stesso sistema per via della “disumanità” insita nel meccanismo governativo e degli effetti dell’assenza di conflitto.

Eh sì, perchè l’assenza di conflitto è deleteria e distruttiva tanto quanto lo è l’elevata conflittualità, in modo speculare.  Strano a dirsi e quasi pericoloso affermarlo, in quanto tutti siamo propensi a vedere nel conflitto la negatività sublime, da interrompere a tutti i costi. Eppure diversi studiosi hanno dimostrato il contrario di quello che si pensa. Sto parlando evidentemente di conflitti privi di aggressione fisica e psicologica, in generale privi di minacce per l’incolumità delle parti.

Il grafico sotto è ormai sufficientemente noto (vedi Comportamento organizzativo). Mostra chiaramente la dinamica di questa tesi controintuitiva.

Le migliori prestazioni di un gruppo di lavoro si ottengono in caso di moderata conflittualità, possibile generatrice tra l’altro di innovazione, e non nei due estremi.

E’ chiaro che questo ci fa capire, o almeno intuire, il potenziale costruttivo e non solo distruttivo del conflitto.

Certo, esiste un mondo da esplorare al di sotto della superficie. Le prese di posizione in caso di conflitto, infatti, non sono che la punta dell’iceberg, come spiega la teoria di John Burton. Sono frutto di interessi personali, che rappresentano il conflitto reale e non soltanto quello apparente. Questi sono dettati da valori umani e sociali, a loro volta fondati sui bisogni umani fondamentali (un po’ datata, ma sempre valida, è la piramide dei bisogni di Maslow). Insomma, le forze in gioco in caso di conflitto sono molteplici, l’importante in prima battuta è non soffermarsi esclusivamente sull’apparenza, essere consapevoli delle radici della diversità.

Anche in questo caso, e soprattutto in questo caso, cerchiamo di essere innovativi e di essere capaci di guardare al di là del mero comportamento manifesto.

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